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Franco Testa, Umberto Eco e il Lavater

Sandro Fusina
dic 12, 2021

 "L’impresa piacque a Umberto Eco che si impegnò a fornire al minimo sindacale una prefazione. Il trattatello, dotto e ironico, come era suo costume, gli venne un po’ più lungo del previsto e i minimi divennero i massimi sindacali.".

Molti anni fa, nei primi anni Settanta, una casa editrice, effimera per cattiva amministrazione, pubblicò l’unico dei suoi libri che andò esaurito. 


Era uno scherzo, un gioco venato di satira. Quando all’inizio dell’Ottocento, anche grazie alle illustrazioni del grande pittore Fuseli, la fisiognomica di Caspar Lavater, ovvero l’arte di leggere nei tratti del volto i caratteri morali degli individui, divenne un articolo di fede e una moda, presero a circolare dei vademecum popolari, i cosiddetti Lavater portatili


L’idea fu di aggiornarne uno al 1974, mantenendo il testo originale e  sostituendo ai ritrattini goffi e sommari dell’epoca personaggi dell’attualità: politici e industriali, per lo più, da Agnelli a Cefis, da Fanfani a Berlinguer, senza dimenticare gli intellettuali e poeti più in vista, tipo Moravia e Pasolini (naturalmente in costume d’epoca). 

L’impresa piacque a Umberto Eco che si impegnò a fornire al minimo sindacale una prefazione. Il trattatello, dotto e ironico, come era suo costume, gli venne un po’ più lungo del previsto e i minimi divennero i massimi sindacali.


Ma tutto il lavoro, di abbinare le descrizioni originali a ritratti leggermente ironici di personaggi dell’attualità, toccò a un giovane disegnatore comasco che gestiva un’agenzia pubblicitaria con sede in via Lanzone, una delle più tradizionali strade di Milano.


Allora non lo avevo mai visto disegnare, non conoscevo la minuzia e i tempi del suo lavoro. Tuttavia mi sorprese che un professionista dotato potesse offrire a una casa editrice anonima decine di tavole straordinarie gratis et amore operae. Ma fu così. Franco Testa non chiese un soldo; non solo: lasciò persino che un personaggio, di cui non ricordo il volto ma solo il lezzo sulfureo, si dileguasse con tutti gli originali.


Ma a confusione della massima che sostiene che nessuna buona azione sarà perdonata, il Lavater ebbe un successo imprevedibile per la piccola casa editrice nata moribonda. A confermare il talento di Testa si affrettò  una rivista alternativa come “Re Nudo”, che sfruttò, senza pensare ai diritti,  alcuni ritratti per i suoi manifesti; mentre il settimanale “Panorama” lo ingaggiò per una lunga serie di deliziosi ritratti di personaggi della cultura internazionale.

Ma il ritratto satirico non era l’unico dei talenti di Franco, e non lo era neppure la pubblicità. Le sue passioni erano la natura e il disegno, la lettura dei classici, la navigazione a vela e le scalate in montagna. Ai tempi dell’accademia di Brera si era espresso in forme astratte di una bellezza solenne e solare. Di quella stagione sono rimasti forse solo i cinque grandi fogli che una sera volle regalarmi. 


Ma l’arte delle conventicole, dei vaniloqui eccitati nei locali di Brera, del corteggiamento delle gallerie e del pubblico, non si addiceva al carattere operoso e ai modi sommessi e cortesi di Franco. Il suo vero talento non sfuggì a un giovane signore che aveva i mezzi per trasformare la propria passione in un’impresa editoriale. Dell’ “Airone” di Egidio Gavazzi, benvenuto in un’Italia anestetizzata contro la natura e la bellezza dai miasmi di un miracolo economico tanto improvviso quanto tardivo, e da una rivolta tanto focosa quanto sommaria, Franco Testa fu uno dei collaboratori più assidui e più felici.


L’artista che non alzava mai la voce, che sussurrava ai suoi amici, che fra tutte le tecniche pittoriche aveva scelto la leggerezza e l’incisione dell’acquerello a pennello asciutto, mise la sua profonda cultura e il suo vasto amore al servizio  degli esseri viventi e dell’ambiente.


La collaborazione con “Airone”  durò a lungo. Durò almeno tutto il tempo in cui la rivista, nel marasma editoriale degli anni novanta, riuscì a rimanere fedele all’impostazione originale. Intanto Franco aveva trovato una casa. Angelo Sganzerla, che orchestrava l’immagine visuale dell’Erbolario, lo aveva invitato a entrare in orchestra. All’Erbolario Testa trovò un ambiente che corrispondeva alla sua idea di etica del lavoro.


Nella tradizione dei maestri comacini, si dedicò al lavoro con tutto se stesso, legato solo dal dovere di fare bene, per se stesso e per un’azienda di cui condivideva onestà di gestione e di prodotto. Un po’ lo sgomentò la diffusione della sua opera in milioni di copie. Lo stupì la notizia di un’edizione coreana del calendario, lo confuse l’idea che molti lo collezionavano. Lo confortava il sentimento di essere finalmente a casa, nella casa della vita.


Sandro Fusina

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Ritrovare e osservare tra i lavori di Franco, che Irvana sta accuratamente ordinando e catalogando, diversi schizzi preparatori per tavole che poi ha completato, mi ha affascinato non meno dei lavori finiti. Spesso lo vedevo quando cominciava a disegnare velocemente una prima traccia di impaginazione, studiando la distribuzione dei pieni e dei vuoti, le proporzioni, l’atteggiamento nel caso di animali e il portamento per le piante; in più riprese, rifacendo in parte o anche daccapo, su carta da fotocopie e su carta da lucido.
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