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I Disegni Preparatori di Franco Testa

Massimo Demma
apr 13, 2022

Piccola premessa di Massimo Demma

Franco Testa non ha mai voluto non dico usare, ma neanche accostarsi al computer.


E nemmeno dico per usarlo come strumento di illustrazione, ma proprio come strumento.


Niente. Zero.


Non ho mai approfondito con lui l’argomento, anche perché se non intendeva approfondire non c’era verso - e ho sempre avuto la sensazione che in questo caso non intendesse approfondire - ma sospetto che la sua fondamentale pigrizia per tutto quello che non attirava subito la sua attenzione abbia giocato un ruolo significativo. 

Il computer può essere molto utile ma necessita di un certo apprendistato, che temo risultasse per lui insostenibilmente noioso anche solo a immaginarlo.


Io mi ci sono accostato, ma tardi e solo perché ebbi l’opportunità di ricevere i modelli usati e superati (ci vuol poco) che generosamente mi passava mio fratello, il quale era invece un entusiasta fruitore MacIntosh della prima ora.

A costo di mesi di fatica, malumore, irritazione e qualche soddisfazione, sostenuto da una tenacia da me stesso imprevista, lentamente mi impratichii abbastanza da poterlo utilizzare anche per lavoro e questo ci tornò utile, come si può immaginare. Ci torniamo dopo.



Ritrovare e osservare tra i lavori di Franco, che Irvana sta accuratamente ordinando e catalogando, diversi schizzi preparatori per tavole che poi ha completato, mi ha affascinato non meno dei lavori finiti.


Spesso lo vedevo quando cominciava a disegnare velocemente una prima traccia di impaginazione, studiando la distribuzione dei pieni e dei vuoti, le proporzioni, l’atteggiamento nel caso di animali e il portamento per le piante; in più riprese, rifacendo in parte o anche daccapo, su carta da fotocopie e su carta da lucido. 

Questa aveva il vantaggio, come mi spiegò con accurata dimostrazione dal vero, che dopo aver tanto lavorato a una composizione e assuefacendosi quindi a tale vista, poter girare il foglio e osservare all’improvviso il quadro ribaltato faceva saltare all’occhio difetti, incongruenze e squilibri altrimenti più difficili da individuare. 

Di questo metodo si trova chiara traccia nel fatto che molti dei suoi schizzi, su carta da lucido e anche su qualche foglio di carta normale, in diversi punti sono tracciati e corretti su ambo i lati.


Ma prima dello schizzo, prima che mettesse mano su carta e matita si poteva assistere alla lunga, meditativa, meticolosa fase della documentazione.

Avevamo raccolto, nel tempo, un buon assortimento di libri di cui ci fidavamo e ai quali facevamo riferimento per trovare risposte e immagini attendibili e, dato che l’approssimazione e l’incertezza di certe fonti non sono insidie nate con Internet, la biblioteca era frutto di attenta selezione. 


Ci fu un caso di commessa privata un po’ particolare che gli diede da fare in questo senso. Infatti, trattandosi di lavori che avrebbero costituito la collezione privata di un appassionato ornitologo, l’abituale scrupolo era ulteriormente sollecitato. Si legge infatti in un fax che inviò al cliente il 25 maggio ’94: “
Credo in effetti di avere alquanto sottovalutato l’impegno necessario. Mi riferisco soprattutto alla quantità di tempo che mi richiede ciascuno di questi lavori: da cinque a otto giorni, secondo il soggetto, senza considerare la fase preliminare, cioè la ricerca di documentazione, pensamenti e ripensamenti vari, disegni preparatori”.

Il carteggio ci fornisce anche, si può dire dalla sua viva voce, la risposta a una domanda che fanno spesso anche a me, cioè “Quanto tempo ci hai messo?”.

Ecco, bisogna pensare che c’è anche la fase preparatoria, oltre alla pura esecuzione del definitivo, la parte visibile ai più: Franco ci passava letteralmente le ore, le mezze giornate. Capitava anche a me, in questo eravamo simili: a entrambi sembrava indispensabile poter rispondere del servizio che prestavamo e la correttezza delle informazioni dava senso compiuto al lavoro, un valore a cui tenevamo e che ai nostri occhi bastava a giustificare ogni difficoltà.


Per fare una citazione colta che mi è cara (che avevo stampato e appeso al muro dietro il mio tavolo come un trofeo, perché mi apparteneva e mi appartiene),
Primo Levi ha scritto ne “La chiave a stella”: “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono”.


Qualcuno potrebbe criticare un afflato apparentemente materialistico di tale riflessione, che ne renderebbe limitato l’orizzonte; mi preme perciò sottolineare la presenza discreta ma significativa dell’aggettivo “concreta”, che non esclude approssimazioni aggiunte e non meno importanti.


Torno quindi alla mia conquista del computer: da quando ho avuto accesso alla Rete, la combinazione della sterminata disponibilità d’immagine e d’informazione, da incrociare e confrontare accuratamente su più pagine internet e anche con la nostra fidata biblioteca, ha costituito una risorsa formidabile, ma che maneggiavamo con prudenza e costante scetticismo costruttivo.

E allora ecco la voce di Franco, infine, dopo le ore di lavoro di ricerca preliminare sui libri, levarsi appena udibile: “Demma, per piacere, mi cerchi qualche foto di…”. 

Era il mio momento: dopo tanto aver appreso da lui, dopo tanto tempo dedicatomi in spiegazioni, esempi, assistenza ecco, infine potevo in qualche modo ricambiare con la mia “prodigiosa” capacità informatica. 


"
Ecco, ho trovato queste foto. Ti serve questa? O questa? Tutt’e due? Bene, ora te le stampo".


Poi le studiava, ci pensava, le confrontava, scopriva incongruenze, arrivava infine a farsi un’idea precisa, molto precisa; prendeva quindi la matita, la affilava rigorosamente con un temperino e cominciava a schizzare sul primo foglio che gli capitava in mano.



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