Per
Franco disegnare era come respirare. Non se ne può fare a meno. Riceveva telefonate dagli amici o dai redattori di qualche rivista per cui lavorava che spesso diventavano chilometriche, specie quelle con Sandro Fusina. E allora con la mano libera cominciava a disegnare. Era un riflesso condizionato. Su un foglio qualsiasi, magari già sporcato da qualche pennellata di prova. Nascevano figure, animali, barche, i suoi gatti, ritratti dei suoi musicisti preferiti, quello dell’amico che stava all’altro capo del telefono, volti sconosciuti. Se, finita la conversazione, lo scarabocchio lo soddisfaceva, lo portava a termine per poi abbandonarlo sul tavolo, da dove spesso
Massimo Demma lo raccoglieva amorosamente prima che finisse nel cestino della carta straccia.
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